Le Direttive Europee cambiano le regole della lotta all'evasione fiscale

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Rafforzare la lotta all’evasione oltre i confini nazionali, migliorando la cooperazione tra autorità fiscali e garantendo un sistema tributario più equo e trasparente. Sono questi gli obiettivi dei pacchetti contro l’elusione fiscale varati negli ultimi anni – e aggiornati a più riprese – dall’Unione Europea, e recepiti progressivamente a livello nazionale. Tra questi rientrano le direttive europee contro l’elusione fiscale, pensate per aumentare la trasparenza nel mercato interno, e le direttive sulla cooperazione amministrativa in ambito fiscale, volte a potenziare lo scambio automatico di informazioni tra Stati membri, con particolare attenzione a nuovi scenari come la tassazione delle attività in criptovalute e gli obblighi fiscali legati agli acquisti online.

Le nuove normative impattano direttamente su imprese e professionisti, imponendo adeguamenti nei sistemi contabili e obblighi di segnalazione scale, ma anche la necessità per le aziende di rafforzare le proprie strutture interne specializzate nella compliance rispetto alle norme di contrasto all’evasione scale internazionale per evitare il rischio di controlli e sanzioni.

Negli ultimi anni, spiega Daniele Terranova, fondatore di Terranova & Partners - studio legale con base a Milano e specializzato in servizi strategici per le imprese, in particolare nell'area tax litigation, corporate e compliance aziendale - «la lotta all’evasione scale ha assunto una dimensione sempre più internazionale, spingendo l’Unione Europea e i singoli Stati ad adottare misure coordinate per contrastare pratiche elusive e rafforzare la trasparenza». In questo contesto, prosegue il professionista, «i pacchetti antielusione europei, codificati nelle direttive ATAD, hanno avuto un impatto significativo sulla normativa interna dei vari Paesi, tra cui l’Italia». Tali normative comunitarie (in particolare le Direttive Ue 2016/1164 e 2017/952, conosciute come ATAD I e II, recepite nell’ordinamento italiano con il D.lgs. 142/2018) hanno introdotto misure per limitare la deducibilità degli interessi passivi, contrastare le pratiche di trasferimento di profitti verso Paesi con regimi fiscali più favorevoli e regolamentare le strutture ibride. Tra i principali interventi, aggiunge l’avvocato, «vi è anche la previsione di un’imposta di uscita per le imprese che trasferiscono la propria residenza fiscale in un altro Stato e una norma generale antiabuso che consente alle autorità fiscali di intervenire su operazioni con finalità elusive».

Settori che hanno subito un’attenzione particolare da parte delle norme europee - e, di conseguenza, nelle legislazioni nazionali - sono quelle delle cripto-attività e del commercio elettronico. «Con la Legge di Bilancio 2023 - rimarca Terranova -, il legislatore ha varato una disciplina specifica, qualificando come redditi diversi di natura finanziaria le plusvalenze e gli altri proventi derivanti dalla cessione o detenzione di cripto-attività. È stata quindi introdotta un’imposta sostitutiva del 26% sulle plusvalenze, che aumenterà al 28% dal 2026, e un obbligo di monitoraggio fiscale che equipara le cripto-attività alle attività estere di natura finanziaria». Stretta anche sul commercio elettronico, con il recepimento delle direttive europee (Ue 2017/2455 e successive modifiche) che ha comportato un aggiornamento delle disposizioni in materia di Iva per le vendite online: le piattaforme digitali che facilitano le transazioni sono considerate responsabili del pagamento Iva, con obblighi di comunicazione rafforzati.

«L’evoluzione normativa - osserva ancora l’avvocato - si è spinta ancora oltre con l’adozione di misure che rafforzano la cooperazione tra le autorità fiscali. L’Italia ha recepito progressivamente le direttive DAC (dalla DAC 1 alla DAC 8) e si prepara all’implementazione della DAC 8 - con gli Stati Ue che dovranno recepirne le disposizioni entro il 31 dicembre 2025 e un’applicazione effettiva dal 1° gennaio 2026 -, che estenderà lo scambio automatico di informazioni anche alle cripto-attività». Norme antielusione e maggiori controlli hanno - e avranno - un impatto crescente sia per le imprese che per i professionisti che le affiancano, imponendo un cambiamento radicale nelle pratiche di gestione fiscale per le attività all’estero. «Le prime, da una parte - sottolinea Terranova -, devono adattare la propria contabilità alle nuove normative, con l’implementazione di sistemi che garantiscano la tracciabilità delle operazioni e il rispetto delle regole vigenti; i professionisti specializzati, dall’altra, devono adeguare approcci e competenze alle nuove disposizioni, assicurandosi che i clienti rispettino gli obblighi previsti: questo comporta un incremento degli adempimenti in termini di compliance e la necessità di aggiornamenti continui anche allo scopo di evitare sanzioni».

A confermare come le aziende debbano sempre più «dotarsi di strutture interne capaci di analizzare le problematiche fiscali in continua evoluzione anche in chiave internazionalizzazione, affidandosi a professionisti qualificati» è Vittorio Santabarbara, avvocato presso lo Studio Santacroce & Partners, specializzato in commercio internazionale, dogane, accise e contenzioso tributario. «Una governance fiscale solida e trasparente, supportata da richieste di pareri e interpelli all’Agenzia delle Entrate, è essenziale per evitare problemi. Per ridurre il rischio di sanzioni e contestazioni, le imprese possono aderire al Tax Control Framework, uno strumento di compliance fiscale che permette di instaurare un rapporto di collaborazione preventiva con l’AdE. Questo sistema consente di ottenere un controllo anticipato su determinate operazioni, riducendo il rischio di sanzioni».

Uno dei temi centrali nella lotta all’evasione, anche a livello internazionale - rimarca l’avvocato - «riguarda l’Iva, sia in termini di contenzioso che di possibili frodi. L’Iva all’importazione, ormai considerata un “diritto di confine”, rappresenta un punto cruciale, poiché può essere manipolata per schivare il pagamento delle imposte». Settore particolarmente esposto a rischi di evasione ed elusione fiscale è quello dell’e-commerce, «specialmente quando si tratta di beni nuovi venduti come usati o di vendite tra imprese finalizzate ad aggirare il pagamento Iva, anche utilizzando l’esenzione per l’importazione di beni di basso valore, che apre la porta a possibili abusi».

Per arginare questi fenomeni si stanno «introducendo nuovi strumenti di fatturazione elettronica, sia a livello nazionale che europeo, che permettano un monitoraggio più efficace delle transazioni, in particolare quelle transfrontaliere, grazie all’incrocio di dati e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale». L’introduzione del sistema ViDA (Vat in the Digital Age) - piano d’azione della Commissione Ue - «rivoluzionerà, ad esempio - dice Santabarbara -, la gestione dell’Iva: entrerà in vigore nei prossimi anni, entro il 2028, e consentirà di armonizzare le procedure in materia in tutta l’Ue, facilitando il monitoraggio delle operazioni e contrastando l’elusione».

Gli obblighi di compliance - anche in termini di comunicazioni alle autorità fiscali - per adattarsi al sistema di controlli e verifiche in merito a operazioni internazionali potenzialmente elusive, «sono cresciuti, in particolare, per le società multinazionali», come spiega Gian Luca Nieddu, fondatore di Muse Strategy, società di consulenza strategica, aziendale e fiscale a gruppi multinazionali italiani ed esteri. «Più di dieci anni fa - afferma -, l’OCSE ha avviato un percorso di riforma culminato nel 2013 con il progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), con l’obiettivo di impedire alle multinazionali di spostare i profitti verso Paesi a fiscalità più vantaggiosa. Uno dei principali sviluppi derivati da esso è il Pillar 2, che prevede l’introduzione di un’imposta minima globale del 15% sui redditi dei grandi gruppi multinazionali (con fatturato consolidato oltre i 750 milioni di euro): la direttiva comunitaria approvata a dicembre 2022 ha reso operativa questa misura a partire dal 2024, con il primo reporting previsto per l’anno in corso».

L’azione di contrasto all’elusione fiscale, a livello Ue, ha previsto - come detto - «una crescente collaborazione per effettuare verifiche fiscali congiunte e simultanee sui gruppi multinazionali - allo scopo di avere una visione uniforme delle operazioni e ridurre il rischio di doppia tassazione - accompagnata dalla condivisione delle informazioni tra le amministrazioni fiscali (direttive DAC). Per le multinazionali, queste riforme significano un aumento degli obblighi di disclosure e un maggiore controllo sulle operazioni fiscali: le imprese devono ora segnalare operazioni che potrebbero avere un impatto sulla base imponibile e prevedere in anticipo i rischi fiscali associati ai loro modelli di business». Operazioni cui prestare attenzione, ad esempio, sono alcune tipologie di pagamenti infragruppo. Negli ultimi dieci anni, conclude il fondatore di Muse Strategy, «l’approccio alla fiscalità è cambiato radicalmente, e con esso le competenze richieste ai professionisti del settore: oggi chi affianca le imprese presenti sui mercati internazionali non si limita a ottimizzare la fiscalità, ma ha il compito di guidarle nella gestione del rischio fiscale, aiutandole a costruire strutture trasparenti e conformi alle normative». L’obiettivo, quindi, non è più solo il risparmio sulle imposte, ma l’integrazione della variabile fiscale nella strategia aziendale.

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